Maurizio Vitale, l’ideatore del Kappa FuturFestival, premiato ai Dj Awards, racconta il successo della rassegna: “Non abbiamo niente da invidiare a nessuno, dobbiamo solo crescere con trasparenza”
La musica elettronica è cultura ed è una risorsa importante per Torino. Ne è convintissimo Maurizio “Juni” Vitale, testa e cuore di Movement e Kappa FuturFestival, due importanti punti di riferimento per questa scena, non solo in Italia. Il direttore dei due eventi è appena rientrato da Ibiza dove il Kappa è stato premiato come miglior International Music Festival ai Dj Awards.
È la prima volta che questo riconoscimento viene assegnato all’Italia. Vitale, quanto è gratificante vedere riconosciuto il proprio lavoro anche all’estero?
«Moltissimo. Per me, per il team e per Torino».
Questo premio è andato in passato anche al Tomorrowland. Secondo lei è replicabile un simile festival in Italia?
«Non ci interessa nemmeno. Loro sono dei fenomeni e hanno dieci anni di vita più di noi, ma l’esperienza del Kappa FuturFestival è totalmente diversa. E migliore. Non è commerciale, si balla, si vive, si incontrano persone di 102 nazioni. Non si sta tutto il tempo col telefonino a guardare un concerto. Senza dimenticare che l’Italia è cento volte più bella del Belgio. Non abbiamo niente da invidiare al Tomorrowland, dobbiamo solo crescere con trasparenza: musica underground e gestione alla luce del sole».
Nell’ultima edizione del Kappa avete portato in tre giorni 60 mila persone a ballare al Parco Dora. Quali sono le difficoltà maggiori che incontra quando organizza un evento di questo genere?
«Fare impresa in Italia è la cosa più difficile: tasse, burocrazia e questione culturale. Spiego: se sei un imprenditore, sei considerato un ladro, un figlio di papà, uno che vuole solo arricchirsi. Non è così. Se cambiasse quest’approccio, qualsiasi business sarebbe possibile. Anche un evento dall’organizzazione complicata come questo, che deve gestire così tanta gente che arriva da così tante nazioni per così tante ore, sarebbe una missione meno impossibile. Potremmo fare più impresa, produrre più ricchezza, pagare più tasse e avere più welfare per tutti».
Kappa FuturFestival e Movement restano torinesi o ha avuto sirene che la chiamano altrove?
«La nostra ambizione è essere globali, siamo già stati negli Stati Uniti, in Croazia, in Spagna, a Singapore… Il punto di partenza è crescere e consolidarsi sul territorio. I frignoni che abbiamo a Torino, che piangono perché la Città o la Regione smettono di dare soldi e cercano di andare a Milano sbagliano. E non saranno mai globali. Non si tratta di andare a Milano, ma in giro per il mondo tenendo radici saldissime a Torino: è il famoso glocal. Per nostra fortuna è l’estero a venire da noi, perché al Kappa è arrivata gente da 102 Paesi. Una globalizzazione al contrario».
Il fenomeno dei rave è iniziato nelle fabbriche abbandonate in Inghilterra, oggi la musica elettronica viene suonata nelle fabbriche riqualificate: un bel cambiamento.
«È vero. Siamo reduci dalla mostra sulla storia dei rave alla Saatchy Gallery di Londra: oggi si suona in spazi come Lingotto o Parco Dora che sono passati dall’ospitare l’industria pesante all’aprirsi alla popolazione. E un cerchio che si chiude. Adesso la musica elettronica andrà a espandersi come macchie d’olio nei musei, negli eventi sportivi… Infatti Movement, in attesa della tre giorni al Lingotto – 31 ottobre, 1 e 2 novembre -, andrà domenica sullo Skyway del Monte Bianco per un dj-set ai 3500 metri. Un evento unico».
Vitale, ma la musica elettronica è per tutti?
«Certo, è un modo intelligente di stare insieme. Un fenomeno che sta crescendo, un treno che l’Italia non può perdere».