
Autore: Stefano Parola
UN BEL PARADOSSO dare il premio “Bogianen” a un imprenditore che con la sua Movement Enterteinement fa ballare migliaia di persone ai festival KappaFutur (in estate) e Movement (in autunno). Eppure Maurizio Vitale lunedì ritirerà ben volentieri uno dei sei riconoscimenti che il Torino incontrai dedica ai piemontesi che più si sono distinti: «Per me significa condividere ciò che facciamo ed ha un valore enorme», dice Maurizio Vitale, detto “Juni”. Il soprannome deriva da Junior, perché suo papà si chiamava come lui ed è stato uno dei grandi personaggi della Torino degli anni ’70 e ’80: rilanciò il Maglificio Calzificio Torinese, creo il marchio Robe di Kappa e inventò gli “scandalosi” Jesus jeans e li portò in Russia.
Vitale, I’imprenditoria per lei dov’essere questione di dna, no?
«Il sangue è quello di papà, ma poi nella mia vita ci sono state altre due figure fondamentali: Roberto Francardo (creatore di Charro e Bell Bottom, ndr), che mi ha dato un’educazione, e Marco Boglione (oggi al timone di BasicNet-Robe di Kappa, ndr) che considero il mio papà ‘professionale’».
La sua carriera inizia proprio in BasicNet, giusto?
«Ci ho lavorato per 11 anni, tra l’Olanda e Torino. Ho iniziato come segretario aziendale e un po’ alla volta mi sono occupato di questioni societarie e poi anche di marketing. Ho uno splendido ricordo di quando lanciammo la maglia della Nazionale nel 2002, la prima che si allungava nel caso di una trattenuta».
Poi l’intuizione: creare un festival di musica elettronica.
«Era il 2006. Lavoravo all’organizzazione di Movement di notte, a casa mia. Due anni dopo ho capito che quello poteva diventare il mio lavoro, anche se all’inizio non si guadagnava nulla».
Oggi sia KappaFutur che Movement godono di ottima salute. Qual è il segreto?
«Abbiamo puntato su un modello diverso: proponiamo musica underground, ma con un sistema di relazioni emerso, basato sul coinvolgimento di grandi marchi. Il risultato è che siamo conosciuti nel mondo anche per il clima che creiamo. E siamo arrivati sin qui senza contributi pubblici».
Invece altri festival assai sostenuti con soldi della collettività non ci sono più. Come lo spiega?
«Spiace che sia così ma si sapeva che sarebbero esistiti solo finché il pubblico avrebbe pagato. Noi siamo stati costretti a costruirci gli anticopri: siamo partiti senza soldi, mentre falliva la Lehman Brothers, lontani dagli ambienti culturali torinesi. Eppure, eccoci qua».
Quindi anche con la musica di nicchia si può fare business?
«Sono certo che la cultura sia economia. Per me cultura significa dare un’attitudine ai ragazzi in ciò che fanno nelle ore in cui non studiano e non lavorano. E negli ultimi anni la fruizione della musica dal vivo è l’esperienza che tra i giovani cresciuta di più».
Come saranno Movement e KappaFutur del futuro?
«In forte crescita, sempre più digitali e integrati con altre arti. Vogliamo renderli punti di riferimento a livello mondiale. Investiremo ancora, come abbiamo già fatti quando abbiamo creato il sistema di pagamento senza contanti chi ha ottenuto riconoscimenti anche dalla Commissione europea».
Ne beneficerà pure Torino?
«Quando il New York Times inserisce la città tra le mete da visitare cita i nostri festival e, più in generale, quando si parla di noi si parla di Torino e del Piemonte. Ho raccolto in un volume tutti gli articoli in cui siamo stati citati e l’ho distribuito alle istituzioni: per me è motivo di grande orgoglio».
Quindi esiste un turismo della musica elettronica?
«Si dice che Ryanair abbia unito l’Europa più di quanto abbia fatto la Ue. Io sono convinto che i festival saranno la Ryanair di domani».
la Repubblica 05.05.2017