Skip to main content

Autore: Lele Sacchi

“Credo che questa sia la volta buona. È da quarant’anni che sento la storia della rinascita di Detroit dietro l’angolo. Per la prima volta ci credo”. Chi parla è Carl Craig, 48enne nativo di Detroit, tra i più geniali musicisti figli dell’onda d’urto partita dalla città del Michigan nella seconda metà degli anni ’80, quando un manipolo di visionari afroamericani si inventa la formula della techno moderna. E se “Detroit” diventa aggettivo, l’immaginario collettivo riconosce un marchio di fabbrica fortemente identitario. Proprio “fabbrica” è la prima parola che il mondo associa alla metropoli che ha inventato la catena di montaggio per sfornare migliaia di auto in serie. La Motor City negli anni ’20 e ’30 ha la crescita più alta del mondo. Le braccia per l’industria sembrano non bastare mai e nei ’50 raggiunge il picco di residenti: 2 milioni. Tantissimi sono i neri che lasciano il sud razzista per uno stipendio sindacalizzato che permette una vera e propria indipendenza. Poi, il tracollo dell’industria dell’auto e la delocalizzazione trascinano Detroit in un vortice negativo da cui sembra non riprendersi più: il centro urbano si svuota, resta chi non è in grado di reinventarsi. La discesa non si ferma e negli anni ’80 è normale che Detroit reciti la parte della megalopoli governata dalla delinquenza nel distopico Robocop di Paul Verhoeven. Il clima generale resta quello di Detroit vs Everybody, lo slogan che diventa il titolo di una hit di Eminem, famoso figlio e cantore del declino urbano del gigante. Ma ora qualcosa di grosso si sta muovendo. E Movement 2017, festival che si svolge nel Memorial Weekend, con il sole caldo di fine maggio che chiude il lungo inverno di qui, non sembra più solo l’autocelebrazione della paternità di una delle più diffuse nicchie musicali degli ultimi 30 anni (la Techno Christmas).

Si respira aria di rivelazione tra gli oltre centomila venuti a toccare la Detroit Renaissance. La percezione è che stia accadendo qualcosa di non troppo diverso da quello che ha vissuto Berlino negli ultimi vent’anni. Craig ribadisce: «Ho comprato casa a Barcellona ma continuo ad abitare anche a Detroit, non l’ho mai abbandonata. I segnali della rinascita ci sono tutti, le persone che se ne erano andate a New York o in Europa ritornano. Gli immobili costano pochissimo. Un locale come Astro Coffee (nel rinato quartiere neo-hipster di Corktown, ndr) prima te lo potevi immaginare a Brooklyn. Lo chef due stelle Michelin Thomas Lents di Chicago ha inaugurato il suo ristorante nel nuovo Foundation Hotel. Fino a poco tempo fa a Detroit si mangiavano solo bistecche e Soul Food». Craig stesso aveva già provato a promuovere la “renaissance” negli anni 2000-2002 insiema al “papà” di Movement, il Detroit Electronic Music Festival. Le immagini della massa radunata sotto i grattacieli di Hart Plaza raccontano questa storia ben oltre il confine degli appassionati del genere techno. Hart Plaza è nata proprio per favorire la socializzazione, un’agorà adatta agli spettacoli sul lungofiume e con una quinta disegnata dallo skyline delle torri del Renaissance Center della General Motors: in settembre vi si svolge il più grande Jazz Festival del mondo.

Nel 2006 il marchio Movement è ceduto dalla vecchia scuola della Detroit techno (Derrick May, Kevin Saunderson, Carl Craig). È rilanciato dalla società di produzione di eventi Paxahau, mentre i promoter torinesi Maurizio Vitale e Gigi Mazzoleni lo acquisiscono per l’Europa, costruendo il successo di Movement Torino, da anni polo per decine di migliaia di giovani durante il ponte di Ognissanti nei padiglioni del Lingotto (da quest’anno spinoff estivo in Croazia). Così il cordone ombelicale non viene tagliato, anzi, si rinsalda il decantato parallelismo fra le due Motor Cities per eccellenza (prima che nascesse l’asse Fiat-Chrysler, Detroit e Torino). Davide Boscacci è il direttore creativo della Leo Burnett che segue le campagne di FCA (società nata dall’acquisizione da parte del gruppo Fiat di Chrysler, una delle Big Three, con Ford e GM, del periodo d’oro della Motor City). Ci incontriamo in uno dei cafè all’aperto dal feeling europeo nella ristrutturata Campus Martius, piazza centrale di downtown e centro nevralgico della rinascita, dall’ambizioso nome che richiama gli sfarzi dell’impero romano. «I miei colleghi abitano a nord, oltre il famigerato 8 Mile», dice Boscacci. 8 Mile Road è l’autostrada resa famosa da un film del 2002, protagonisti Eminem e la sua cruda colonna sonora, simbolo della vita a sud di questa strada, nella zona storicamente impoverita e ghettizzata. «Si stanno riaffacciando a downtown solo ultimamente. Prima la loro vita si svolgeva nelle eleganti cittadine suburbane, a Oakland County e dintorni. In questi giorni alloggio all’Aloft, stupendo hotel aperto due anni fa con la ristrutturazione del David Whitney Building, uno dei bellissimi grattacieli neorinascimentali d’inizio secolo che stanno riprendendo vita. Gli hotel nuovi sono di livello altissimo. E tutti aspettano quello voluto da Shinola, che sta per aprire in autunno. Fino a qualche anno fa downtown la si evitava, i furti e le sparatorie erano la normalità».

Shinola è un esempio lampante. L’azienda, fondata a inizi 2000 da una società di investimenti, ha comprato i diritti sul nome di una conosciutissima ditta di lucido da scarpe d’inizio ’900 per associarlo a prodotti luxury (orologeria, bici, pelle). La sede e la fabbrica sono state aperte proprio a Detroit per impiegare la manodopera locale del comparto auto, di altissimo livello e capace di montare componentistica complessa. Si discute se la scelta sia stata dettata più dal dipartimento marketing (la tagline del marchio è Where American is Made) che dalle effettive necessità, ma il risultato c’è: oggi Shinola è un marchio cool del lusso Usa. «Tanta di questa rinascita si deve all’enorme flusso di investimenti avviato dalla Quicken Loans. Che ha sede qui», continua Boscacci. Dan Gilbert, fondatore e direttore di questo colosso dei finanziamenti per mutui immobiliari, i cui 12mila dipendenti lavorano in zona, non rifugge la ribalta. Ha comprato i Cleveland Cavaliers (la squadra di Lebron James) e ne gestisce l’Arena; viene da Oakland County ma ci tiene a dire che il nonno era di Detroit. Ha risanato 60 edifici di downtown negli anni del declino, e il nome della sua società compare nelle aiuole, nei playground e come main sponsor del Movement festival. Non tutti i locali sono però propensi a santificare una società che è esplosa durante gli anni della grande crisi, e anche le autorità federali hanno acceso il radar. Così Gilbert continuerà a essere visto sia come il salvatore dell’amministrazione cittadina (per la prima volta dal 1974 sotto il mandato di un sindaco bianco), sia come il burattinaio della gentrification.

[…]